Una banca condannata a restituire 869mila euro per clausole poco chiare: nuova sentenza storica del Tribunale di Roma.
Una clausola poco chiara può costare cara, anche milioni. Stavolta è successo a una banca coinvolta in un contratto di leasing immobiliare: il Tribunale di Roma ha giudicato insufficientemente trasparente la documentazione sugli interessi e ha condannato l’istituto a rimborsare al cliente una cifra da capogiro, ben 869mila euro.

Il caso si è concluso con una delle sentenze più importanti degli ultimi anni in ambito bancario.
Banca condannata a risarcire il cliente: le clausole sugli interessi non erano comprensibili
La causa è scaturita da un contratto di leasing stipulato tra una società e l’istituto di credito. Nelle condizioni economiche si parlava solo del TAN, senza però indicare né il TAE, né un piano dettagliato con le singole rate, gli interessi e il capitale residuo.

Una mancanza tutt’altro che marginale, secondo i giudici, perché impediva al cliente di conoscere il reale costo dell’operazione.
A questo punto, in base all’art. 117 del Testo Unico Bancario, il contratto è stato ritenuto nullo nella parte relativa agli interessi. Al suo posto è stato applicato il tasso BOT legale, cioè quello calcolato in base ai rendimenti minimi e massimi dei Buoni Ordinari del Tesoro emessi nei dodici mesi precedenti.
La sentenza che ha condannato la banca al risarcimento
La sentenza n. 9363 del 23 giugno 2025 ha dunque accolto il ricorso della società, almeno in parte. Oltre alla sostituzione del tasso d’interesse con uno più favorevole, il Tribunale ha imposto alla banca di restituire gli interessi percepiti in eccesso, per un totale superiore a 869.000 euro.
Inoltre, la banca è stata condannata a pagare il 50% delle spese legali. Una batosta non solo economica ma anche d’immagine.

Non tutte le richieste della società sono state accolte. Il giudice ha rigettato l’accusa di usura sugli interessi di mora, ritenendoli compatibili con i limiti di legge. È stata anche confermata la validità della clausola “floor”, che fissava un tasso minimo del 3,37% in caso di tasso variabile, elemento non considerato abusivo in quanto chiaramente indicato nel contratto.
Perché questa sentenza è importante per i clienti delle banche
Questa sentenza potrebbe segnare un cambiamento importante. Rappresenta un precedente solido per chi si ritrova in situazioni simili, e lancia un messaggio forte al mondo bancario: la trasparenza non è facoltativa. Le banche dovranno prestare più attenzione alla redazione dei contratti, mentre imprese e consumatori sono invitati a rileggere con cura le condizioni economiche.
Potrebbero esserci sorprese ed è probabile che, controllando bene i documenti, anche altre persone potrebbero chiedere un risarcimento alla propria banca.